La CRT motore di sviluppo economico
Fondato il 4 luglio 1827, l’Istituto della Cassa di Risparmio nasce per contrastare gli effetti dell’impoverimento della popolazione, promuovendo presso i meno abbienti l’etica del risparmio come strumento per costruire un reddito e accedere alla proprietà e, contemporaneamente, per finanziare lo sviluppo dei territori, sostenendone le economie.
Nel corso dell’Ottocento, l’Istituto è protagonista di un notevole ampliamento delle attività bancarie e dell’estensione della propria sfera di influenza a tutto il Piemonte. Così, se nei primi anni del Novecento l’attenzione è rivolta in particolare al comparto tessile, a quello energetico e ai trasporti, all’indomani del ventennio fascista l’Istituto accompagna di fatto il Paese nel suo passaggio verso la maturazione industriale.
Esempi di questi filoni di credito sono testimoniati dai documenti conservati nei fondi d’archivio, come il consistente nucleo documentale che conserva le carte dei rapporti con la FIAT, i verbali del Consiglio d’amministrazione relativi alla Società Anonima impresa d’acqua di Mazzé, ente sorto per la gestione del bacino idroelettrico e dell’impianto di irrigazione per le terre del Canavese entrato in funzione negli anni Venti, che si inserisce nel quadro generale del sostegno erogato alle opere di bonifica e irrigazione del territorio piemontese e allo sviluppo dell’agricoltura nazionale.
Interessanti, per la ricostruzione degli interessi e del campo d’azione della Cassa, sono anche i fondi relativi alla filiale somala della Cassa di Risparmio di Torino, conservati presso la Cassa di Pinerolo, la cui apertura è da ricercarsi nel piano di attuazione dei provvedimenti legislativi legati al credito agricolo.
La crescita della Banca attraverso le sue sedi
I primi sportelli al pubblico della Cassa di Risparmio di Torino aprono all’interno del Palazzo di Città: è di fatto la Tesoreria del Comune che gestisce l’amministrazione delle sue attività. La situazione muta il 24 novembre 1853, quando la Cassa di Risparmio diventa un Ente morale, affrancandosi dalla Municipalità.
Nonostante per qualche tempo il legame resti ben saldo, l’anno successivo la sede dell’Istituto viene dislocata in via Bellezia, e, poco dopo, in un altro appartamento della stessa via, di proprietà comunale. Solo venti anni più tardi, nel 1872, verranno poste le condizioni per l’acquisto di una sede autonoma, individuata in Palazzo Massimino di Ceva, in via dei Mercanti 9.
In nuce, si intravedono sul territorio i segni che trasformeranno l’area al di là di via Roma (all’epoca contrada Nuova) nel quartiere degli affari.
La ricerca della sede di rappresentanza
Verso la fine del decennio, si fa strada la necessità di provvedere all’acquisto di alcuni immobili come strategia di investimento a medio e lungo termine: in questa partita si colloca anche la ricerca di una residenza più opportuna per la Cassa. Accanto alle esigenze economiche, si intravedono anche ragioni simboliche: la sede doveva essere in grado di sottolineare non solo il ruolo di guida dell’Istituto ma anche la centralità rappresentata dalla sua funzione assistenziale e da quella filantropica, parti dell’identità statutaria.
Uno dei primi immobili è individuato in casa Rorà, tra via Carlo Alberto e via Cavour. Una scelta non banale, perché per la prima volta sposta l’asse di interesse urbano e simbolico verso una zona lontana dal centro antico, tradizionale residenza degli Istituti di credito della città.
Nel 1881 l’attenzione viene posta su un altro immobile sito in via dei Mercanti e successivamente su due case confinanti con la sede della Cassa, quella degli eredi del sacerdote Battaglia e quella della famiglia Armissoglio. Identiche trattative vengono avviate per l’acquisto di casa Junk.
Solo alla fine dell’anno lo sguardo si posa su quella che la commissione individua come la migliore tra le soluzioni possibili: Palazzo Perrone di San Martino, posto tra le vie Alfieri e della Provvidenza, che diventerà via XX Settembre. L’edificio, di stampo settecentesco, ex dimora nobiliare della famiglia Galiziano-Conti di Moransengo (che lo aveva acquistato nel 1690) e dei Perrone di San Martino (che ne furono i legittimi proprietari dal 1707 al 1884), sembrava perfetto per riflettere quegli ideali di austerità, solidità e rigore che contraddistinguevano le élite al governo.
La topografia del credito torinese e gli ampliamenti urbani
Sulla scelta di Palazzo Perrone di San Martino come sede della Cassa di Risparmio pesano però anche altre ragioni.
Benché l’immobile sorgesse in un’area considerata abbastanza distante da Palazzo civico – nucleo cittadino di provenienza della sua clientela storica – si trovava in una porzione di città che si era contraddistinta, tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo, per una notevole crescita dell’edilizia signorile e conventuale, con la nascita di prestigiosi palazzi di stampo barocco, nuove chiese e piazze signorili. Molte sedi religiose erano state dismesse e diverse dimore nobiliari erano state trasformate in edifici di rappresentanza istituzionale per enti bancari o commerciali.
Lo sviluppo di quest’area si inseriva perfettamente nel quadro dei diversi ampliamenti che avevano caratterizzato la città sotto il governo dei Savoia: il primo, operato da Carlo Emanuele I, aveva previsto la creazione della Città Nuova, con espansione verso Piazza San Carlo, l’odierna via Roma e Porta Nuova; il secondo, aveva incentivato la crescita della contrada di Po fino all’attuale Piazza Vittorio Veneto, e le attuali vie Maria Vittoria, via Principe Amedeo e via San Francesco da Paola; il terzo, nei primi anni del Settecento, aveva comportato la sistemazione di Piazza Castello e l’inaugurazione dei Teatri Regio e Carignano.
In quel momento, la città risultava divisa in quattro quartieri (Cittadella, Via Nuova-San Salvario, Porta Palazzo, Vanchiglia), a loro volta suddivisi in 60 cantoni e 119 isole.
Le trasformazioni del Palazzo
Anche il Palazzo diventa protagonista di una lunga serie di ristrutturazioni.
Gli interventi, inizialmente realizzati nel rispetto della logica dell’ancien régime — che vedeva nel consolidamento strutturale della sede il segno del potenziamento dell’immagine dinastica — portano l’edificio ad ampliarsi fino a inglobare corpi di fabbrica secondari ubicati nelle vicinanze, come il monastero delle monache cappuccine.
Nell 1884 inizia il processo di riconversione dell’immobile a uso bancario che riguarda progressivamente il piano terreno, per poi allargarsi alle mura, al rifacimento degli impianti, al fronte esterno, alla distribuzione degli spazi, alle aree di rappresentanza.
Qualche anno dopo l’inaugurazione ufficiale (1885), si palesa tuttavia la volontà di un’ulteriore ristrutturazione della sede o di una sua sostituzione (1908).
La sede mancata di via Bertola
In sinergia con le spinte di espansione urbana della città, le ricerche per il nuovo immobile si concentrano su una zona di recente ampliamento, vicino a piazza Solferino, alla fine della via dedicata a Pietro Micca, in cui sta per sorgere anche una via trasversale all’altezza dei giardini Lamarmora. Il risanamento dell’isolato prevede anche la rettificazione di via Bertola e via Botero, e la sistemazione del fronte di via Stampatori.
Molte altre erano tuttavia le ipotesi in campo, tra cui quella della demolizione di Palazzo Vivalda, tra via Santa Teresa e via Genova, il possibile acquisto di Palazzo Lascaris, in via Alfieri o ancora lo sfruttamento dell’area dell’Arsenale (ancora in possesso, tuttavia, delle autorità militari).
A cavallo della prima guerra mondiale, l’amministrazione della Banca decide la costruzione di un nuovo edificio.
La crescita dell’ente, unita alla disseminazione territoriale delle succursali in città e entro breve tempo in provincia, imponevano all’amministrazione un ruolo centrale di coordinamento e sviluppo delle realtà locali, rendendo più complessa anche la gestione dell’Istituto.
La strada che prende corpo è quella dell’esproprio e della demolizione dell’isolato dell’antica isola di Sant’Eustachio, tra le vie Bertola, Stampatori, Santa Maria e San Dalmazzo per l’edificazione di un palazzo signorile: un’operazione strategicamente rilevante che, oltre a risolvere problemi di igiene e ordine pubblico, avrebbe riavvicinato le maggiori istituzioni cittadine.
I lavori, faticosamente avviati nel 1913, si concludono dopo una notevole emorragia di fondi e diversi fronti conflittuali nel 1925, con la vendita del palazzo alla SIP, Società idroelettrica Piemontese, che ne inaugura la sede nel 1928. L’allegoria dell’elettricità, dipinta sulla volta della sala del Consiglio di amministrazione, segna simbolicamente il cambio di passo.
Il nuovo restauro
Parallelamente, la Cassa di Risparmio risolve infine di ampliare il corpo storico del Palazzo Perrone di San Martino, la cui ristrutturazione è affidata all’architetto Giovanni Chevalley. L’operazione, una delle più ampie azioni di intervento condotte su un edificio storico, si conclude nel 1933.
Insieme al Palazzo, a trasformarsi è tutto l’isolato: in conseguenza dell’acquisto di altri immobili attigui, come le case private dell’avvocato Guglielmo Racca e l’Educatorio della Provvidenza, l’espansione interessa ora sia il lato di via XX Settembre, sia le vie Alfieri e Arcivescovado.
Come dimostra la lunga partita giocata in seno a questo progetto, gli interessi in campo non erano solo quelli della Banca, ma si intrecciavano con quelli del Comune, di altri Enti e di alcune figure come ingegneri e architetti, il cui ruolo risultava centrale nelle dinamiche urbane di inizio Novecento.
L’edificazione di un Istituto di credito smuove infatti equilibri che vanno molto al di là delle questioni architettoniche.
Le altre sedi
Quella di via XX Settembre, tuttavia, non è la sola sede bancaria dell’Istituto a insistere sul territorio cittadino e regionale. L’ottica seguita, almeno in città, è quella di appoggiarsi al tessuto urbano esistente, promuovendo interventi di trasformazione e di riuso dell’architettura esistente, in armonia con la vocazione al radicamento sul territorio.
È quello che succede per le sedi del secondo Novecento, come l’Ufficio per il Servizio titoli e borsa, che trova collocazione in una serie di locali nella centralissima piazza CLN, trasformati nel 1972 con soluzioni d’avanguardia sia rispetto all’ambientazione moderna sia rispetto all’ammodernamento tecnologico per l’espletamento dei servizi.
Altro esempio è il Palazzo Uffici in via Nizza 150, trasferito nell’edificio multipiano un tempo sede prestigiosa delle Officine Meccaniche RIV, progettate a inizio Novecento. La trasformazione del sito (1975) per il trasferimento del Centro Meccanografico della Cassa avviene attraverso un intervento che passa dalla riconfigurazione dell’immagine industriale del complesso.
Alla base di tutte le ristrutturazioni, insistono le regole non scritte che hanno guidato tutti gli interventi architettonici voluti dalla Cassa: razionalità, funzionalità, decoro.